SpoNpatour 2003

2-5 ottobre 2003

Norcia – Foce di Montemonaco – Visso – Norcia

Partecipanti 8:
Alessandro C, Andrea DV, Gianluca, Marco, Graziano, Paolo D, Paolo M, Paolo Fo

1° giorno
Norcia – Castelluccio di Norcia – Capanna Ghezzi – Forca Viola – Foce

2° giorno
Foce – Gole dell’Infernaccio – Passo Cattivo – Ussita – Frontignano – Visso

3° giorno
Visso – Saccovescio – Todiano e Abeto di Preci – Norcia

 

LA STORIA

Resoconto di Paolo D

“A me mi dà coglioni di mulo, palle del nonno e quel salame lì lungo e morbido che non ricordo come si chiama…”.
Finisce così, con uno shopping gastronomico presso l’azienda Salvatori di Norcia, questo Sponpatour di inizio ottobre, sotto un cielo minaccioso che sembra volerci dire che è il momento di pensare ad un’altra attività sportiva (immaginate quale!), dopo un’estate torrida e lunghissima.
Quando siamo partiti c’era il sole ed è stato sotto la sua luce che in fondo alla Piana Grande è apparso su una dolce collina il paese di Castelluccio con la sua bellezza semplice, dove il verde dei prati e l’azzurro del cielo si sposano con l’imponenza dei monti Sibillini. Mi è venuta la voglia di ritornare in questo posto incantato a giugno, quando ci sarà la fioritura. Un viaggio in questi luoghi acquista il sapore di una fuga dallo spazio, dal tempo e dai ricordi.
Marco aveva dimenticato a casa i pedali della bici, forse per dare una risposta a tutti quelli che dicono: “L’hai voluta la bicicletta e allora pedala!”, oppure perché aveva intuito che in questo sponpatour più che pedalare si sarebbe dovuto camminare e in questi casi i pedali danno solo noia. Alla fine li ha dovuti prendere in prestito da una delle biciclette di Nonna Rosa.
Paolo Moretti ha rinunciato senza protestare al ruolo di decano che aveva tenuto in questi ultimi anni, perché il decano vero è tornato e ha ripreso in mano, spero per molti anni ancora, la situazione con la giusta autorità. Lo scambio di consegne è avvenuto la prima sera a tavola, dove Paolo mi ha ceduto il posto a capotavola, ma si è verificato il primo inconveniente: lassù in cima alla tavola il vassoio degli antipasti è arrivato quasi vuoto! Ragazzi, un po’ più di rispetto per il decano! Gianluca ha programmato, come sempre, una tre giorni affascinante, ma anche molto dura: la Forca Viola, I’Infernaccio e il Passo Cattivo hanno messo a dura prova le nostre energie, ma cos’altro ci potevamo aspettare da questi nomi che, parafrasando Dante, “nel pensier rinnovar) la paura”.

Quando si conquistava il passo, o meglio, la sera quando si conquistava l’albergo, era una soddisfazione vera voltarsi indietro per guardare il monte che era stato superato con la bicicletta portata a mano. In questi sentieri sassosi e ripidi Graziano era il più forte di tutti e penso che potrebbe avere un futuro sportivo se la disciplina “bicicletta a mano”diventasse sport olimpico. Io invece soffrivo, ma, come tutti, non mollavo neppure per un attimo. Restavo un po’ indietro, perché l’età comincia a far sentire la sua legge, e mi mettevo a parlare con la bici: “Lo capisci che sono sempre e solo le gambe che ci tirano fuori dalle situazioni difficili!”.
L’arrivo della prima tappa era a Foce, un paesino abitato in pianta stabile solo da tre persone, che di inverno vengono portate via dalla Protezione Civile per il pericolo di valanghe. Quando, dopo una cena sostanziosa, siamo andati a fare due passi nella piazza, abbiamo trovato solo una cavalla bianca, di nome Farfalla. Sembrava di essere in un sogno, di quelli a cui gli psicoanalisti danno significati profondi, del tipo “bisogno di affetto” o “desiderio di vita semplice”, e invece si era dentro un quadro vero che resterà nella memoria delle emozioni: uno spazio grande e vuoto circondato da montagne, otto persone col naso all’insù a scrutare le stelle e una cavalla bianca. A proposito di sogni, la mattina dopo Andrea ci ha raccontato quello che aveva fatto durante la notte: si trovava su un transatlantico così alto che il mare gli appariva lontano ed è andato a distendersi sulla polena, come Leonardo di Caprio sul Titanio, per cui si è trovato come sospeso in alto sull’oceano. Lo vedi, Andrea, che le anfetamine, che prendi di giorno per sentire meno la fatica durante le salite, la notte ti colorano la mente!
Quando io e Paolo III (non è un papa, è che ci sono troppi Paoli!) siamo scesi per la colazione, se così si può chiamare cappuccino più cornetto consumati in piedi davanti al bancone del bar, siamo stati subito apostrofati: “Ma vussiete gli ultimi anche a faccolazione!’. Vaglielo a spiegare che io e Paolo, il decano e il più giovane, sulla strada stiamo in fondo al gruppo solo perché abbiamo funzioni di controllo.

Alessandro, giocherellando col mio cellulare, che ha per salvaschermo la foto di alcune segretarie dell’Università, è rimasto fulminato dal volto e dalla scollatura della Matelda: “Quando me la fai conoscere? Dammi il suo cellulare! Dove sta di casa? Quanti anni ha? Ah, è sposata… Però non si può mai sapere…”. E così, mentre tutti sulle salite più dure vedevano angeli e madonne, lui vedeva l’immagine della Matelda. L’ultima notte a Visso, mentre tutti già dormivano, ripensavo al programma che Gianluca ci aveva comunicato per l’ultimo giorno: “Se è tempo bello si attraversa il passo a duemila metri, se piove però non si può fare e bisogna prendere la strada normale asfaltata”. Ho cominciato a fare la danza della pioggia e devo dire che ha funzionato! Ok per la strada asfaltata!
Le strade sono bagnate, il cielo è attraversato da nuvoloni neri, gonfi di pioggia. Con vestiti più pesanti, guanti e k-way dai colori sgargianti, ci avviamo verso Abeto dove si trova l’agriturismo di Nonna Rosa (non andare a cercare la piazza delle piramidi, Andrea, non è l’Abetone, come hai creduto per un istante, sempre per l’effetto della solita robaccia!).
Nonna Rosa, la figlia e la nipote Federico le ho lasciate per ultime perché rappresentano il ricordo più bello, quello che terremo più a lungo dentro di noi. Non c’è bisogno di molte parole: ci hanno trattato con la semplicità e l’affetto delle persone di famiglia e ci siamo sentiti come a casa. E’ bello cullarsi nella sicurezza della cucina di Nonna Rosa, soprattutto se si fa il confronto con gli alberghi dei giorni precedenti, dove al nostro passaggio cadevano le stelle!
Ah, mi è rimasto un dubbio sul nome di uno dei salami: “Ma i muli ce li hanno o no i coglioni?”.

Qui sotto la scansione degli originali

Diario di viaggio